Ho paura di essermi illuso. La pandemia da coronavirus e il relativo periodo di chiusura e permanenza forzata a casa, nella sua tragicità, mi ha fatto fare esperienze nuove o riscoprire esperienza dimenticate nel passato, come immagino anche a molti di voi. A cominciare dalla quasi assenza di traffico, la domenica addirittura completamente vuota di automobili. Senza rumore. Mi ha subito riportato alla memoria le domenica senza traffico del periodo dell’austerità, dei primi anni ’70 quando ero piccolo, anche se allora era diverso perché la gente era padrona della strada, oggi invece chiusa forzatamente in casa. Ma la sensazione di libertà dall’oppressione delle lamiere rumorose delle automobili è stato simile.
Non riesco ad immaginare, poi, quanto abbia fatto del bene alla natura, all’ambiente. L’assenza forzata dell’uomo per un paio di mesi avrà sicuramente ridato “ossigeno” (e non è solo una metafora) all’aria martoriata dai fumi dei tubi di scarico delle automobili e dai fumi e liquami di scarico delle aziende di vario tipo. La natura si è ripresa il ruolo da protagonista nella vita del pianeta, anche lei libera dall’oppressione del lavoro dell’uomo. Anche gli animali avranno respirato un’aria nuova, sia quelli selvatici che avranno riconquistato spazi a lungo preclusi, che gli animali domestici.
Ferme poi tutti quelle attività umane che utilizzano risorse non rinnovabili e quindi di nuovo la natura, in questo caso intesa come ricchezza da sfruttare, che per due mesi, solo due certo, ma comunque in questi due mesi è stata lasciata libera di essere se stessa senza saccheggi e ferite da parte del virus supremo che è l’uomo.
C’è stata, poi, di conseguenza, la riscoperta dell’importanza fondamentale dei lavori di cura, a partire da quelli dei medici e degli infermieri e di tutto il personale sanitario, ma anche del lavoro di cura dei genitori per i loro figli, dei figli per i genitori anziani, degli insegnanti che non hanno smesso un secondo di occuparsi dei nostri figli, delle commesse e dei commessi dei supermercati, etc.
La pandemia ha avuto il merito, inoltre, di aver riportato sulla scena politica mondiale un vecchio relitto dell’epoca moderna in pieno disuso e in via di smaltimento: lo Stato, e insieme con lui i pubblici poteri. Erano decenni che non se ne sentiva parlare. Li si nominava solo per sottolineare quanto fossero negativi e per stabilire come smembrarli. Carrozzoni che portavano solo inutili spese e aumento di tasse. Burocrazia, lungaggini, carte su carte, dipendenti imboscati da posto fisso sindacalizzato. Il modello aziendale invece ha fatto da padrone, veloce, attento agli obiettivi, efficace ed efficiente. La pubblica amministrazione è stata “aziendalizzata”, tra cui scuole e ospedali. La privatizzazione è stata la parola d’ordine negli ultimi decenni. E su questo la sanità ha avuto l’impatto più forte.
Poi, all’improvviso, il terrore della pandemia. Contagi, malattie, morti. Paura che, inaspettatamente, ha fatto rivolgere lo sguardo ai pubblici poteri, e tutti hanno seguito pedissequamente le indicazione del capo del governo, tutti si sono affidati all’azione degli ospedali pubblici, le scuole statali hanno continuato ad inventarsi lezioni da casa. Impiegati pubblici che hanno lavorato il doppio di prima a parità di stipendio. Medici ed infermieri rischiando la vita, e molti l’hanno persa.
Il privato e il modello aziendale davanti alla paura è sparito. Scomparso. Annullato. Anzi, le aziende sono state trattate come i principali veicoli di contagio. Sono stati chiusi aziende, uffici, negozi. Gli uffici pubblici, con le dovute cautele, in quanto servizi indispensabili ed essenziali, hanno sempre funzionato. Non solo gli ospedali.
La Protezione Civile è tornata ad essere quello che avrebbe sempre dovuto essere, un servizio pubblico per i cittadini in difficoltà. Per promuovere sicurezza e controllo dei rischi. Non un organo al di sopra della legge che con la scusa della gestione delle emergenze passa come un trattore sullo stato di diritto e sulla corretta gestione dei soldi pubblici. Lasciando poi gli inevitabili “effetti collaterali”, esternalità le chiamano, ai posteri, cioè a noi e ai nostri figli, ancora.
Ma mi sono illuso. Tutto tornerà come prima. Un po’ perché non si impara dalle paure e dalle emergenze. È un principio noto di qualsiasi pedagogia: apprendere per paura comporta solo il rifiuto di quello che si deve apprendere. Ecco che terminata l’emergenza, finita la paura, la baldoria sarà più forte di prima. E un po’ perché a guidare la ripartenza saranno gli stessi amministratori che c’erano prima, gente le cui competenze e senso di responsabilità sono pari a zero, almeno quasi tutti. Non voglio generalizzare perché non è generale ma tendenzialmente, oggi, chi ha maturato competenza e serietà nel lavoro e nella vita non dà la propria disponibilità all’attività politica, perché è vista come un’attività di ripiego, poco importante, e per di più caotica senza capo né coda. Chi c’è continuerà a fare come ha fatto sempre, a casaccio, convinto di avere un prestigio personale, una visibilità pubblica, e di difenderla, come unico obiettivo. Purtroppo.
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