A poche ore dalla presentazione della lista dei ministri mi viene da chiedere che governo è quello di Mario Draghi.
Non è un governo tecnico. Non tanto perché sono presenti nella lista anche ministri politici, quanto perché la differenziazione tra “tecnici” e “politici” è del tutto insensata. Qualunque governo è un governo politico, è non potrebbe essere altrimenti, perché andrà a governare la nostra “polis”, lo stato, la società italiana e le sue istituzioni. Per gestire questo soggetto così complesso com’è l’Italia c’è bisogno di scelte, e le scelte hanno bisogno di criteri che consentano di stabilire quali scelte siano giuste e quali sbagliate, e questo si chiama, da che mondo è mondo, politica. Nel governo Draghi esistono ministri provenienti dalla carriera partitica ed eletti in parlamento. Poi esistono altri ministri che non sono parlamentari e non hanno mai fatto i parlamentari e che non hanno rapporti, almeno formali, con i partiti politici, ma questo non significa che una volta accettato di presiedere un ministero non diventino automaticamente politici. L’unica vera differenza tra i ministri parlamentari e quelli non parlamentari è che i primi sono passati attraverso elezioni democratiche e i secondi no.
Non è neanche un governo di unità nazionale. Nonostante l’appoggio e la presenza nel governo di rappresentanti di tutte le forze politiche (tutte tranne Fratelli d’Italia, l’unica forza politica tatticamente all’opposizione). Quando ha accettato l’incarico di formare il governo, Mario Draghi, nell’unico breve discorso pubblico che ha fatto dal palazzo del Quirinale, ha chiesto una maggiore unità ma certo non poteva pretendere e sicuramente non ha preteso che questa unità fosse quella chiesta dai pochi governi di unità nazionale che l’Italia ha avuto da quando esiste l’Italia, cioè quelli della prima guerra mondiale (Boselli e Orlando), e quelli del dopo la fine della seconda (Parri e De Gasperi). Neanche si avvicina, ovviamente, al governo di unità nazionale che Giulio Andreotti ha presieduto nella seconda metà degli anni ’70: lì c’erano problemi davvero seri come il superamento della conventio ad excludendum, cioè legittimare il Partito Comunista Italiano come partito democratico di governo ed allargare così la base democratica della nazione, per non parlare della questione del terrorismo brigatista. Oggi il problema che ha portato il presidente Mattarella a chiamare Draghi è stata la defezione del gruppo personale di Renzi dal sostegno al governo Conte, cioè beghe e intrighi di palazzo, non vere questioni dirompenti per la nazione.
Non è infine un governo politico. Questo è abbastanza evidente dalla maggioranza che lo sostiene: dal punto di vista dei “valori” e dell’idea di Italia, Liberi e Uguali non sono certo compatibili con la Lega, il Partito Democratica è lo storico antagonista di Forza Italia, e il Movimento 5 Stelle è incompatibile con sé stesso. Non è un governo politico perché il presidente del consiglio non ha mai reso pubblica un’idea, che sia una, un obiettivo che sia uno che intende perseguire per questo suo mandato. Quello che ha detto nel già citato unico discorso pubblico è stato “vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini e rilanciare il paese”. Pura vuota retorica, non certo politica. Magari una visione politica la avrà e sarà quella che lo guiderà nelle scelte dei prossimi mesi ma difficilmente potrà renderla pubblica anche in parlamento quando chiederà la fiducia, perché se sarà troppo specifico rischierà di deludere qualcuno delle parti che lo sostengono. Rimarrà nel generico, lasciando la politica fuori o nascosta nel segreto di pochi, svuotando la democrazia di significato rendendola puro esercizio formale.
L’unica conclusione possibile è che il governo Draghi sia un governo dell’anti-politica. Di un anti-politica più subdola di quella becera e ormai banale del “è tutto un magna magna” ma anche diversa dall’anti-politica del finto tecnicismo, del merito, cioè dell’aristocrazia del sapere che si erge stizzita dalla massa del popolo ignorante. Quella di Draghi è più un’anti-politica della provvidenza, del dono che viene dall’alto, della grazia divina. È evidente dalla mancanza, esplicita, di riferimenti a un programma di governo, anche semplicemente abbozzato. Nei governi dell’anti-politica dei tecnici, quelli di “alto profilo” (sempre che abbia un senso questa parola) c’è sempre stato un progetto da realizzare, un obiettivo da perseguire. Nel governo Monti, infatti, bisognava ridurre lo spread e mettere a posto i conti dell’Italia, soprattutto il debito pubblico. Ma il governo Draghi che deve fare? Gestire i fondi straordinari dell’Unione Europea? Ma questa non è un’emergenza, è una manna dal cielo. Ecco, il governo Draghi è il governo del recovery fund, piovuto dal cielo e a fondo perduto, per una pessima next generation.
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