Il 4 marzo scorso, Camera e Senato francesi si sono riuniti a Versailles per ampliare l’art. 34 della loro Costituzione. Hanno aggiunto la frase «La loi détermine les conditions dans lesquelles s’exerce la liberté garantie à la femme d’avoir recours à une interruption volontaire de grossesse» (La legge determina le condizioni in cui si esercita la libertà garantita alla donna di far ricorso ad un’interruzione volontaria della gravidanza). In Francia l’interruzione volontaria della gravidanza diventa un diritto costituzionale: perché?
Non sembra che la scelta sia scaturita dalla necessità di dare forza all’IVG, già presente da decenni in terra francese. La loi Veil, che nel 1975 ha depenalizzato il reato di aborto, era già innovativa all’epoca. Poi, necessariamente, sono state apportate modifiche per rendere la pratica dell’interruzione della gravidanza ancora più accessibile alle donne francesi: nel 2001 sono state promulgate delle leggi che hanno innovato profondamente l’IVG francese e due anni fa, addirittura, una legge ha posto le condizioni per rendere più complesso l’esercizio dell’obiezione di coscienza dei medici allargando la possibilità di esercitare l’IVG anche alle ostetriche. Insomma, prima del rilievo costituzionale dell’interruzione della gravidanza dei giorni scorsi, in terra di Francia era una pratica tra le più accessibili al mondo. Non è questo il motivo, allora, della scelta del parlamento francese.
Qualcuno ha scritto, nei giorni scorsi, che forse la scelta francese è stata una risposta alla deriva antiabortista, e quindi antifemminista, che in alcune parti del mondo sta prendendo sempre più piede. Si è fatto riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale statunitense Dobbs v Jasckson Women’s Health Organization del 2022 che ha spazzato via l’interpretazione che la stessa Corte aveva scritto decenni prima, negli anni ’70, sull’esercizio dell’aborto come garantito dalla Costituzione americana con il XIV emendamento. La nuova sentenza del 2022 ha di nuovo lasciato ai singoli stati la regolamentazione di questa disciplina senza una garanzia costituzionale federale.
Forse sarà vera questa seconda risposta, chissà. Certo che tutto questo discorrere sulla costituzionalizzazione di un diritto, di un altro diritto tra gli altri già scritti, porta a pensare al ruolo che i diritti dell’uomo e della donna svolgono oggi nel nostro mondo contemporaneo. L’elaborazione e la pubblicazione dei diritti dell’uomo è stata una delle pratiche più significative dell’epoca moderna. Uno dei frutti più maturi dell’emancipazione dell’uomo e della donna, che passano da sudditi a cittadini, che li protegge dal potere che non sempre riconosce il valore della vita umana.
Diritti che proteggono dal potere ma che per essere garantiti devono fare forza sul potere politico, sul potere dello Stato. È lo Stato, e il potere politico ad esso collegato, che riconosce un diritto, lo scrive nella propria costituzione e lo garantisce attraverso le leggi e il potere giudiziario. Un legame apparentemente contraddittorio tra esercizio del potere e rivendicazione dei diritti che è stato un circolo virtuoso per decenni ma che è stato sempre a rischio, aperto a diventare circolo vizioso. Soprattutto oggi che l’esercizio del potere statale è diventato sempre più difficile in un contesto globalizzato, plurale e multinazionale, in un contesto dominato dalla tecnica elettorale, dove quello che politicamente conta davvero è avere consenso, vincere le elezioni.
I diritti dell’uomo e della donna corrono il pericolo di essere strumentalizzati dal potere politico che li dovrebbe promuovere e sostenere. Abbiamo diritti di “sinistra”, come quelli sociali, dei lavoratori, diritti alla salute e alla scuola pubblica, promossi ed esaltati da governi di “sinistra” e avremo diritti di “destra”, come quelli identitari, i diritti dei meritevoli, i diritti alla proprietà individuale e alla libera concorrenza, promossi ed esaltati da governi di “destra”. Nella “dialettica dell’illuminismo”, nei confronti del quale i diritti dell’uomo sono figli legittimi e primogeniti, si è arrivati al punto della loro totale perdita di valore proprio quando si sono moltiplicati a dismisura o, meglio, a misura degli obiettivi politici di chi li ha promossi e rivendicati.
Quale potrebbe essere, allora, il motivo che ha spinto il governo francese e il suo presidente a scrivere un nuovo diritto, quello all’interruzione volontaria della gravidanza, nella loro costituzione? Vi invito a fare attenzione ad alcune parole pronunciate dai protagonisti politici di questa vicenda.
Il presidente Macron ha scritto nei social «Fierté française, message universel» (Orgoglio francese, messaggio universale) invitando i francesi ad andare numerosi a Place Vendome l’8 marzo. Ancora più chiaro Gabriel Attal, primo ministro, che nel discorso al parlamento francese il 4 marzo ha esplicitamente detto: «Aujourd’hui la France est pionnière. Aujourd’hui, vous direz au monde que oui, la France est fidèle à son héritage, à son identité de nation à nulle autre pareille, pays phare de l’humanité, patrie des droits de l’homme et aussi et surtout les droits de la femme» (Oggi la Francia è pioniera. Oggi direte al mondo che sì, la Francia è fedele alla sua eredità, alla sua identità di nazione diversa dalle altre, paese faro dell’umanità, patria dei diritti dell’uomo ma anche e soprattutto dei diritti della donna).
Una retorica populista e nazionalista, che nulla ha a che fare con la natura universalista dei diritti umani ma che ha invece molto a che fare con l’esaltazione del più basso patriottismo. Una retorica che parla al cuore, non certo alla testa, dei francesi. Una retorica, proprio perché populista e nazionalista, escludente, che mette barrire tra la nazione francese e le altre, che esalta la “francesità” a discapito di ogni altra appartenenza culturale, come quella dei milioni di immigrati magrebini di seconda e terza generazione che abitano le banlieues delle grandi città ma non si sentono pienamente francesi e vivono senza futuro, ma ogni tanto, anche solo per esaltare un’altra eredità di quelle terre, erigono barricate e si danno alla guerriglia per le strade.
La Francia per prima ha riconosciuto un diritto nella propria costituzione, prima di ogni altra nazione al mondo. È questo il messaggio partito da Versailles il 4 marzo. A prescindere da quale sia questo diritto. A prescindere dal fatto che si tratti dell’interruzione volontaria della gravidanza: in fondo scrivere questo diritto in costituzione non cambia di una virgola l’impegno già assunto dal governo. A prescindere da quale strada le donne francesi, e tutte le altre donne del mondo, vogliano davvero percorrere per esercitare il loro diritto ad essere donne.
La Tour Eiffel il 4 marzo illuminava la scritta “Mon corps, mon choix” (mio il corpo, mia la scelta). Sarebbe stato interessante discutere davvero e liberamente su “quale corpo per quale scelta” prima di farne la bandiera dalla francesità: il corpo post-borghese per nulla emancipato della donna magra, bionda, influencer e followerizzata o il corpo coperto e velato della negoziante magrebina così repellente alla laïcité o il corpo di plastica e imbottito di steroidi della eterna giovane palestrata o altri corpi per altre scelte? Ma questo, pare, non interessi a nessuno. Per il potere è più facile esaltare la fierté française.
Be First to Comment