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Scherza con i fanti ma lascia stare i santi. L’arte e l’offesa del sentimento religioso

Dopo l’inaugurazione dei giochi olimpici a Parigi è imperversata, sui giornali e nei social, la questione “offesa del sentimento religioso”: è giusto fare arte, soprattutto in quella variante dell’espressione artistica che è la satira, prendendo come punto di riferimento la religione e il sacro? È vero che tutto è nato da un malinteso, soprattutto dei vescovi francesi, i quali hanno protestato per una parodia dell’ultima cena quando invece quello che hanno rappresentato i coreografi dello spettacolo inaugurale delle olimpiadi era un banchetto degli dei dell’Olimpo, più coerente con l’inaugurazione delle olimpiadi. Questo malinteso, a parte essere il sintomo di una Chiesa francese che ancora non riesce a digerire fino in fondo la laïcité non tanto per la parodia dell’ultima cena quanto per le drag queen che la rappresentavano, cambia poco dal punto di vista del dibattito, perché anche gli “dei” dell’Olimpo sono un’espressione religiosa, considerato anche che le Olimpiadi stesse, almeno quelle dell’antica Grecia, erano forme di esercizio del culto. Il problema, quindi, resta e vale la pena discuterlo.

Il problema resta ma è un problema abbastanza datato e già affrontato decine di volte. In tempi recenti non possiamo non ricordare Salman Rushdie e i suoi Versetti satanici, che hanno scatenato l’ira di alcune autorità musulmane con tanto di condanna a morte; l’omicidio del regista Theo van Gogh, reo, almeno secondo l’omicida, di aver girato un cortometraggio offensivo contro la religione musulmana; la pubblicazione nel 2005 di vignette satiriche nel giornale danese Jyllands-Posten che avevano il profeta Maometto come oggetto di satira (va anche ricordato che l’anno successivo il ministro leghista Roberto Calderoli in diretta tv indossò, mostrandola, una maglietta con le vignette del quotidiano danese provocando una reazione di musulmani libici al consolato di Bengasi dove rimasero uccise undici persone); fino all’assalto con conseguente strage alla redazione del giornale satirico parigino “Charlie Hebdo” del 2015. Andrebbero ricordati, nonostante faccia difficoltà ad inserirli tra le manifestazioni artistiche, gli incresciosi episodi che hanno visto sempre Roberto Calderoli come protagonista, nei quali il politico italiano svolgeva delle passeggiate con un maiale (il maiale day) nei luoghi, Lodi e Bologna ad esempio, dove si prevedeva la costruzione di moschee.

La violenza di questi episodi dimostra che il problema è serio. Ci sono persone che si sentono offese, nel profondo, da forme di satira che ridicolizzano le esperienze religiose. Come conciliare la libertà di parola e di pensiero nonché lo sviluppo della cultura e dell’arte, necessari presupposti per una vita democratica in un paese libero, con l’altrettanto importante diritto ad essere rispettati nelle proprie convinzioni religiose o, comunque, in convinzioni maturate nel profondo della propria coscienza?

La questione non è facile. Se davvero alle manifestazioni artistiche fosse vietato toccare la sensibilità religiosa di qualcuno, il rischio è che non si avrebbero più espressioni artistiche con riferimenti alla cultura religiosa (una persona che si sente offesa da qualsiasi cosa tocchi la propria vita religiosa fuori dal suo gruppo di appartenenza è facile trovarla in tutte le tradizioni religiose). E questo sarebbe un limite inaccettabile all’espressione e alla produzione artistica. Dall’altro lato è anche difficile organizzare una convivenza pacifica in un contesto multiculturale e plurireligioso se gruppi consistenti di persone si sentono offese nel profondo della loro coscienza da manifestazioni culturali dei propri vicini.

Io di solito non prendo in considerazione le leggi degli stati come forma di espressione culturale da usare, in qualche modo, come esempio. Sono particolarmente convinto che le leggi e il diritto siano forme regressive di espressione culturale. Questa volta però vorrei porre alla vostra attenzione quello che il diritto italiano (è l’unico che conosco), sia nelle leggi che nelle sentenze della magistratura, dice sulla questione. Esprime degli elementi interessanti di discussione.

Il diritto italiano pone delle garanzie, anche costituzionali, alla tutela della cultura e dell’arte, all’interno della quale alberga la satira, come pone tutele e garanzie alla vita religiosa dei suoi cittadini. Quand’è che una forma artistica e satirica può utilizzare in maniera legittima elementi della cultura religiosa nelle proprie manifestazioni? Prima di tutto quando è arte, e quindi non quando è chiacchiere da bar o semplici emoticon alla moda. Poi secondariamente, ma solo nell’ordine temporale, se la produzione artistica non è finalizzata all’odio religioso (o razziale, o di genere, ecc.). La satira è un’espressione culturale caratterizzata da una finalità di “critica” a ciò che viene preso di mira nelle sue espressioni, ma la sua critica non può essere offensiva soprattutto se veicola informazioni false sull’oggetto di critica. Così, tanto per intenderci, le vignette dell’Jyllands-Posten avrebbero potuto essere catalogate tra le opere artistiche in quanto il giornale danese da anni pubblicava una sezione sulle vignette dove degli artisti facevano satira con i loro disegni e rappresentare Maometto con un turbante pieno di esplosivo avrebbe potuto essere un modo per criticare alcuni atteggiamenti violenti di frange musulmane fondamentaliste. Aver indossato in diretta tv le stesse vignette da parte di Calderoli con palese intento provocatorio, invece, è un evidente incitamento all’odio religioso. Una legittima e l’altra no.

Se utilizziamo questi criteri desunti dal diritto italiano, come possiamo giudicare lo spettacolo inaugurale delle Olimpiadi a Parigi? Prima di tutto è stato indubbiamente un’espressione artistica, bella o brutta non so, decidetelo voi, ma ha poca importanza. Aveva delle evidenti intonazioni ironico-satiriche soprattutto per l’utilizzo delle drug queen, la cui critica è legata alla denuncia delle tradizioni culturali binarie che discriminano il mondo LGBTQIA+. Aver utilizzato, a questo fine, il banchetto dell’Olimpo di classica memoria non mi pare un incitamento all’odio religioso.

Non sarebbe stato incitamento all’odio religioso neanche se avessero allestito un’ultima cena in stile leonardesco. Se fossi stato vescovo francese avrei gioito dell’utilizzo di una tradizione cristiana per un’opera artistica. Mi sarei anche meravigliato del suo utilizzo in un contesto di analfabetismo religioso come quello francese (ma non solo), e se si è avuta consapevolezza che il cristianesimo ancora è un grande bacino di simbologie e riferimenti culturali, forse avrei proposto che si iniziasse a pensare la teologia cristiana come un altro patrimonio storico da conservare e valorizzare. Ma questo solo per inciso. Infine, sempre da vescovo francese (ma non solo), se fossi stato provocato dall’ironia trans-gender delle drug queen, forse un dubbio sulla necessità della distanza della vita ecclesiale cattolica dalle rivendicazioni sessuali e culturali del popolo lo avrei posto.

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