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La pace sarà noi

È da qualche anno, soprattutto dall’inizio della guerra in Ucraina (ma i primi dubbi sono sorti durante la prima guerra del golfo, nel 1990), che serpeggia l’idea che sia possibile riparlare di guerra come modalità dell’azione politica. Gli equilibri internazionali si sono rotti. L’ONU non ha mai funzionato davvero e le istituzioni europee, soprattutto in ambito di politiche internazionali, non sono mai decollate. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, gli Stati Uniti non sono stati in grado di tenere il polso dell’ordine mondiale. L’azione politica americana ha aumentato il disordine globale, invece di risolverlo. Possiamo dire, senza possibilità di essere smentiti, che l’incapacità statunitense ha contribuito alla nascita dell’attuale caos politico internazionale.

La guerra era sparita dalle possibilità pratiche dell’azione politica, almeno da noi, nel cosiddetto “occidente”, dopo i due conflitti mondiali. L’art. 11 della Costituzione italiana ne è una dimostrazione eloquente, come sono eloquenti l’art. 26 della Costituzione tedesca, l’art. 9 della Costituzione giapponese, nonché l’alinea 14 del Preambolo della Costituzione francese del 1946. È vero che queste Costituzioni prevedono al loro interno (vedi nella Costituzione italiana l’art. 78, l’art. 52 e norme collaterali) la possibilità di una guerra di difesa, ma è un’azione residuale, da ultima istanza, all’interno di un ordinamento pacifista improntato alla risoluzione dei conflitti nell’azione diplomatica e nell’azione delle organizzazioni internazionali. L’adesione di quasi tutti i paesi del mondo alla Carta dell’ONU, che nell’art.2.4 prevede l’impossibilità di un conflitto armato («I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite»), sembrava la cancellazione della guerra del pianeta terra. E invece no.

Il pacifismo si è illuso. Oggi si contano più di cinquanta conflitti attivi nel mondo. Dagli anni ’90 la guerra è ri-penetrata in Europa. Gli Stati Uniti non hanno mai smesso di essere in guerra con qualcuno. Quello che è cambiato è il modo di chiamare la guerra. Con una sorta di peacewashing abbiamo avuto da trentacinque anni a questa parte, peace-keeping, peace-building, peace-making, ma non sono mancate espressioni quali quelle di peace enforcement, state building, fino alle operazioni di “polizia internazionale”. Soltanto Bush ha avuto il coraggio di chiamare quella al terrorismo “guerra” e dal conflitto russo-ucraino si è finalmente tolto il velo di ipocrisia che ha ricoperto fin ora i conflitti armati.

Una volta presa consapevolezza di questo, che fare? Giacomo Mariotto, nell’ultimo numero di Limes (L’ordine del caos, gennaio 2025), in un articolo dal titolo eloquente “La guerra è noi”, afferma in maniera perentoria che è ora di togliere la testa dalla sabbia, nel senso che i paesi europei, Italia compresa ovviamente, devono smetterla di perseguire un illusorio pacifismo di facciata e riscoprire la propria vocazione politica che è quella della guerra, pena l’irrilevanza politica mondiale e la perdita del benessere. La guerra, secondo Mariotto, è stata la caratteristica politica europea degli ultimi cinque o sei secoli: l’Europa è stata il centro del mondo fino alla prima metà del ‘900 perché ha attuato guerre di conquista in tutto il mondo. «La cultura europea era totalmente incentrata sulla guerra e ossessionata dalla conquista», ha scritto. «È una prospettiva sgradevole da accettare. Poiché implica che il più autentico pilastro della centralità europea nel mondo, della cui rendita di sicurezza e prosperità tuttora beneficiamo, non furono le scoperte scientifiche e la sofisticazione nelle arti, ma lo spirito marziale». Noi siamo figli di questa storia, dice ancora Mariotto. Bisogna prepararsi al nuovo disordine mondiale, fatto di stati belligeranti, riscoprendo la natura bellica della cultura politica europea ed italiana. Investendo su armi ed esercito.

Io sono rimasto sbalordito dalla lettura di questo articolo, scritto da un giovane analista di politica internazionale, sicuramente con buoni studi alle spalle e una preparazione specialistica di indubbio spessore. Con una visione, però, etica e politica pari a zero. E con qualche, tendenziosa lacuna storica. Qualcuno dovrebbe ricordare a Giacomo Mariotto, prima che sia troppo tardi, che, se la guerra è stata il leitmotiv della politica internazionale europea, essa è stata una politica sbagliata. Ha prodotto stragi e stermini di popoli interi, distruzioni di civiltà. Non possiamo esserne fieri. Se il benessere che alberga nelle nostre società è stato in parte figlio di questa violenza distruttiva, esso è un’evidente ingiustizia, indifendibile davanti a qualsiasi logica.

Se l’Europa ha scoperto tardi l’importanza delle politiche internazionali senza conflitti armati, lo ha fatto (e qui è la lacuna storica) dopo due guerre mondiali che hanno mostrato una capacità distruttiva senza precedenti. Le guerre che si sono svolte in Europa fino al XIX secolo, tra cui quelle risorgimentali, sono state guerre tra eserciti, con poco coinvolgimento delle popolazioni civili e relativa distruzione di architetture e culture. Nelle guerre mondiali del XX secolo, soprattutto la seconda, invece, la distruzione è stata totale. L’utilizzo delle armi è stato così devastante, non c’è bisogno di ricordare (o forse sì?) le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, da rendere impensabile una terza guerra mondiale. Albert Einstein diceva di non sapere con quali armi sarà combattuta la Terza guerra mondiale ma la Quarta sarà combattuta con pietre e bastoni, sempre che qualcuno sopravviva per fare quella guerra.

Le bombe atomiche non sono state distrutte. Esistono ancora e possono essere utilizzate. Giacomo Mariotto è troppo giovane per ricordare, ma quelli della mia generazione hanno vissuto con il terrore di una imminente guerra termonucleare globale. La fine della guerra fredda ha fatto dimenticare quel terrore ma è da questa sabbia che bisogna togliere la testa. Se passasse davvero la legittimità della guerra come mezzo di soluzione dei conflitti internazionali, mi dispiace per Giacomo Mariotto, sarebbe l’inizio della fine. Quando negli anni ’80 abbiamo partecipato alle manifestazioni pacifiste o scelto di fare il servizio civile come obiettori di coscienza, non lo abbiamo fatto perché rammolliti figli del benessere conquistato con la violenza della guerra, ma perché veramente convinti che la guerra, anche se possibile e purtroppo ancora perseguibile, è una strada senza ritorno. E non va percorsa più. Il fatto che la storia abbia di nuovo reso protagonisti i conflitti armati come forme di esercizio di politica internazionale, l’unica conseguenza che deve porre è la preoccupazione per il futuro dell’umanità.

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